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Maximiliano Pescara

Eccellenza – Maximiliano Pescara, dalla Pampa a Besozzo. Storia del centrale dai piedi d’oro: “Mi manda Miguel Magnoni”

Dalla Pampa argentina a Besozzo, questo il viaggio di Maximiliano Pescara. Con svariate tappe intermedie in Spagna, da giovanissimo e in Venezuela. Questo l’ultimo “colpo” di mercato del patron Pietro Barbarito, Maxi sta ricambiando la possibilità che gli ha dato il Verbano con prestazioni e… gol. Non una cosa di tutti i giorni, visto che Maxi è centrale difensivo ma ha una caratteristica. Calciare le punizioni. E viste le ultime due partite, lo fa con una certa precisione.

 

Argentino della Pampa, il tifo per il Boca, l’idolo Maradona

Nativo di Santa Rosa, Maximiliano Pescara è cresciuto nella Pampa argentina, in Patagonia. «Eravamo tanti fratelli, i miei genitori ci erano sempre vicini ma mancava sempre qualcosa. E anche il barrio in cui siamo cresciuti, non era affatto un quartiere dei più tranquilli». Tifosissimo del Boca Juniors (e non è un caso che sia finito a giocare alla “Bombonera”… seppur di Besozzo), ancora un po’ amareggiato per aver perso la finale di Copa Libertadores («Ma soprattutto deluso per tutte le vicende extracalcistiche»), l’idolo di sempre non può che essere “El Diez”: «Per noi argentini, sopra tutti c’è Maradona. Ora come ora ammiro molto Messi, e visto che sono un centrale mi ispiro ad Otamendi. Molto fedele, Masimiliano Pescara ha provato a tramutare la sua passione in un sogno: «Volevo trovare il modo di aiutare la mia famiglia, così quando mi si è presentata l’occasione di venire in Europa da giovanissimo non ci ho pensato due volte».

 

Le giovanili in Spagna e la Primera Division in Venezuela

Le valigie fatte a 15 anni, direzione Spagna. «A 15 anni sono andato ad Alicante, nelle giovanili dell’Hercules. Avevo tanti sogni in testa, ma come spesso accade la realtà non sempre è uguale a quello che si pensa. Non è stato semplice», spiega Maximiliano Pescara. Ma il classe 1991 non si è perso d’animo, passando da Madrid e poi cercando fortuna in Venezuela. Prima con la maglia del Mineros e poi con la casacca rossonera del Portuguesa: «Un club storico, cinque volte campione del Venezuela. In ogni paese la massima serie è importante, ho fatto delle esperienze uniche giocando anche davanti a più di diecimila persone. Come dicevamo da piccoli, il calcio è la porta dei re. Si parla un linguaggio universale in tutto il mondo. Ma al tempo stesso il calcio mi ha dato e mi ha tolto, penso soprattutto ai momenti con la mia famiglia».

 

Di rossonero in rossonero, al Verbano con l’aiuto di Magnoni

Ancora valigie e nuova esperienza. Stavolta con destinazione l’Italia. Ma come ci è finito un argentino della Pampa nella piccola Besozzo? «Merito di Miguel Angel Magnoni, un attaccante che qui in Lombardia conoscete molto bene. Aveva seguito un po’ la mia carriera, conosceva bene il presidente Barbarito e mi ha aiutato a venire in Italia», spiega Maximiliano Pescara. Passato, però, dalla Serie A all’Eccellenza: «Non è un problema, come mi ha sempre detto mia mamma: magari fai un passo indietro per poi farne quattro in avanti. La cosa più importante è che ho trovato persone uniche. Una su tutte il presidente Pietro Barbarito. Mi ha dimostrato tanto in poco tempo. Vive il calcio al cento per cento, non è solo un presidente ma anche un tifoso del Verbano».

 

Difensore goleador, l’Italia vuole essere casa sua

Centrale ma anche bomber. Due gol nelle ultime due partite per Maximiliano Pescara, che si dimostra letale nelle punizioni: «E’ vero, è raro vedere un centrale che batte le punizioni. Ma vi assicuro che è sempre stata una mia caratteristica». Prima allenamenti, ora le partite, Maximiliano Pescara si sta adattando al nostro calcio: «Sicuramente più tattico, con concetti difensivi che prima non avevo. Ma mi trovo bene anche con i miei nuovi compagni. Ringrazio Dio per aver trovato dei ragazzi che mi hanno aperto il cuore. Da parte mia ho portato tanta allegria perché penso che il calcio sia questo. E devo dire che al Verbano sono stato ricambiato». Un sudamericano con la “Garra” e ancora con la voglia di sfondare: «Più che Garra, la chiamo fame. Da bambino mi sono mancate tante cose, e ho sempre avuto voglia di arrivare. Spero di trasmettere questa mia voglia anche agli altri. L’Italia? Vorrei fermarmi qui, mi piace guardare avanti ma non troppo lontano. Penso a fare bene con il Verbano e poi lascio tutto nelle mani di Dio».

Paolo Andrea Zerbi

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